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Libretti d’opera: L’italiana in Algeri

Cruda sorte! Amor tiranno!
Questo è il premio di mia fé:
non v’è orror, terror, né affanno
pari a quel ch’io provo in me.
Per te solo, o mio Lindoro,
io mi trovo in tal periglio.
Da chi spero, oh dio! consiglio?
chi soccorso mi darà?
Qua ci vuol disinvoltura.
Non più smanie, né paura:
di coraggio è tempo adesso,
or chi sono si vedrà.

Italiana in Algeri Queste le parole con cui Isabella, la “bella italiana venuta in Algeri”, chiarisce quali siano non solo i suoi propositi ma anche la sua indole. Dopo un momentaneo smarrimento, dopo il pensiero per l’amato Lindoro, la giovane decide di trovare una via d’uscita alla situazione tragica in cui si trova. Sola, in terra straniera, nelle mani di un sultano spietato che per soddisfare i propri piaceri non esita a ricorrere alla violenza del rapimento, Isabella saprà non solo mettersi in salvo insieme all’amato Lindoro, ma anche ingannare il tronfio sultano e farsi beffe di lui.
Non è certamente l’immagine di una donna fragile dunque quella che Angelo Anelli, autore del celeberrimo libretto musicato da Rossini, ci offre nel 1808 nel suo dramma giocoso (ovvero un testo teatrale con intreccio amoroso, talora drammatico, ma a lieto fine) approntato sulla base di un testo precedente redatto da Luigi Mosca e successivamente modificato per l’allestimento dell’opera rossiniana dal poeta stabile della Fenice Gaetano Rossi.
Il tema turco che indubbiamente è centrale nella storia dovette entusiasmare tanto il giovane Rossini da indurlo a comporre l’opera in non più di un mese: alcune fonti registrano diciotto giorni, altre ventisette, ma, qualunque sia il tempo effettivo di stesura dell’opera, indubbiamente si tratta di un periodo assai breve. L’opera registrò fin da subito un successo clamoroso dando inizio al fenomeno del ben noto “rossininismo”, ovvero il favore incondizionato del pubblico, laddove i giudizi della critica risultavano talvolta contrastanti. In L’italiana in Algeri, opera famosa per essere un misto di seria e buffa, Rossini introdusse anche l’uso di una “Gran Banda Turca”, complesso strumentale di varia formazione composto di solito da strumenti a percussione, e una “Catuba”, ovvero l’insieme di cassa e piatti usato nel secondo atto. Infine l’interpretazione di due eccellenti cantanti, Maria Marcolini nel ruolo di Isabella e Filippo Galli in quello del Sultano Mustafà, guadagnarono all’opera il plauso di pubblico e critica se il cronista del Giornale dipartimentale di Venezia scriveva all’indomani della rappresentazione (il 1 giugno 1813): «L’italiana in Algeri di Rossini passerà ovunque tra i capi d’opera del genio e dell’arte».
I due caratteri principali risultano ovviamente quelli del Sultano Mustafà, comicamente volitivo e prepotente, tronfio e presuntuoso, e l’opposta immagine di Isabella, donna giovane che seppur in difficoltà e impaurita riesce a sfuggire con la sua sola forza morale e la sua arguzia alle grinfie del Sultano.
Il tema centrale della storia è, dunque, una vera e propria celebrazione dell’intelligenza contro la forza bruta, della capacità di non soccombere alle avversità della vita anche quando tutto sembra congiurare contro di noi e non è un caso se la battuta finale dell’opera è proprio:

La bella italiana venuta in Algeri
insegna agli amanti gelosi ed alteri,
che a tutti, se vuole, la donna la fa.

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