La glottodidattica è una scienza teorico-pratica che concerne l’educazione linguistica e si coniuga con l’educazione letteraria, la microlinguistica (microlinguaggi settoriali e scientifico-professionali), ma anche con la psicolinguistica, la neurolinguistica, la socio-linguistica e l’antropologia.
Una concezione così aperta dell’insegnamento delle lingue come dipendente da svariate discipline che permettono tutte insieme di arrivare a ottenere una corretta impostazione, riflette anche gli intenti degli svariati progetti approdati in Europa negli ultimi anni: il Progetto ‘Lingue Vive’ promosso dal Consiglio d’Europa, l’ European Common Framework of Reference for Language Learning and Teaching ed il Portfolio Europeo delle Lingue.
Ma quali sono i vari metodi per insegnare una lingua? Ne esiste uno giusto? Oggi la glottodidattica non si orienta verso un metodo preciso ma verso una quantità di approcci, ovvero verso un eclettismo composto da procedure di vario genere e varia origine, frutto dell’esperienza maturata nei secoli.
È, infatti, nel lontano 1700 che si inizia a configurare un approccio di tipo formalistico, quando cioè la lingua latina aveva ormai cessato di essere la lingua veicolare nelle attività di tipo commerciale e era assurta a lingua letteraria. Nel metodo grammaticale-traduttivo, metodo centrale dell’approccio formalistico, la lingua veniva appresa tramite le regole grammaticali e il lessico, l’insegnante parlava nella lingua madre del discente e le attività orali, di conversazione, erano fortemente ridotte. Il limite di questo metodo era il fatto che lo studente si trovava nella quasi totale incapacità di comprendere e parlare una lingua straniera, per la scarsa opportunità avuta durante le lezioni di utilizzarla in situazioni concrete. L’esercizio tipico proposto agli studenti in questo genere di approccio è quello di traduzione da L1 a L2, mentre i libri di testo sono di solito articolati in capitoli o lezioni, basati sulle strutture morfosintattiche.
Sebbene oggi unanimemente si tenda a condannare questo tipo di metodologia, è opportuno considerare anche il momento in cui essa venne teorizzata: in quell’epoca, come fino a qualche decennio fa, il turismo si rivolgeva solo a un’élite e per lo più ci si accostava allo studio delle lingue straniere per poter fruire delle opere letterarie in versione originale. Ecco dunque spiegato il motivo per cui si apprendeva una lingua preferibilmente per tradurla, piuttosto che per parlarla.
[…] Nel corso dell’Ottocento si registrano le prime reazioni, in Europa come in America, alla diffusione del metodo Grammaticale-Traduttivo: è l’approccio Diretto a rivelarsi la principale alternativa a quella che appariva come una metodologia troppo basata sulle strutture grammaticali e dunque più adeguata a quanti volessero apprendere una lingua per fini di studio piuttosto che di scambio e comunicazione. Il metodo diretto incontrò notevole fortuna sia durante la seconda metà dell’Ottocento sia nella prima metà del secolo scorso, grazie soprattutto all’opera di Maximilian D. Berlitz che, nella città di Providence (Rhode Island, USA), fondò nel 1878 la Berlitz International Inc per l’insegnamento del francese. Il noto metodo nasce quasi per caso a causa di una momentanea indisposizione di Berlitz stesso che si trova dunque nella necessità di cercare un assistente che tenga per lui i corsi. Il giovane Nicholas Joly da lui ingaggiato si rivela inizialmente una delusione, in quanto incapace di insegnare in inglese il francese, secondo quanto prescritto dal metodo grammaticale-traduttivo. Berlitz non si perde d’animo e spiega al giovane insegnante di svolgere le lezioni indicando degli oggetti e pronunciandone il nome in francese o mimare i verbi nel modo più chiaro possibile. Il risultato è molto più entusiasmante di quanto si sarebbe potuto sperare e il nuovo “metodo Berlitz” approda in Europa. Presupposto fondamentale del metodo diretto è, dunque, che l’insegnante parli direttamente in L2, contrariamente a quello che accade nei metodi grammaticali-traduttivi: la lingua viene, cioè, appresa grazie alla semplice conversazione con l’insegnante che deve dunque essere madrelingua. Non è necessaria la lingua materna e soprattutto la riflessione grammaticale riveste un ruolo secondario e costituisce il punto di arrivo piuttosto che di partenza, essendo appresa in modo induttivo piuttosto che deduttivo, come avveniva nell’approccio formalistico. Il metodo appare ovviamente sotto certi aspetti piuttosto efficace, ma trova un limite nell’idea di tentare di apprendere una lingua straniera con un processo analogo a quello seguito, in modo del tutto spontaneo, nell’acquisizione della lingua materna. […]