Nel 1989, a seguito di un terremoto che colpì la città di San Francisco, uno dei suoi musei più importanti venne chiuso e momentaneamente trasferito in attesa che ne fosse ricostruita la sede. Dalla scorsa estate i lavori si sono conclusi ed ora è possibile tornare a visitare l’Academy of Science. Il progetto dei lavori è stato affidato ad uno degli architetti italiani più rappresentativi ed apprezzati a livello internazionale: Renzo Piano.
Tenendo in particolare conto l’ubicazione del museo, cioè all’interno del Golden Gate Park, una vasta oasi di verde di fronte all’Oceano Pacifico già nota a suo tempo per avere ospitato le più celebri manifestazioni giovanili e studentesche degli anni ’60 (Free Speech Movement, Summer of Love, la nascita del movimento hippie), Renzo Piano ha voluto dare all’opera l’impronta più naturalistica possibile creando un museo che non è un ambiente da visitare con soggezione, ma un laboratorio didattico e al tempo stesso un luogo da esplorare con spirito di avventura da persone di tutte le età, con la consapevolezza che il mondo in cui viviamo è l’unico che abbiamo e che avremo per moltissimo tempo ancora e che lo dovremo proteggere con tutte le nostre forze.
Ogni ecosistema è raccontato in tre dimensioni, con diorami o ricostruzioni viventi: impressionante è la barriera corallina con le sue miriadi di pesciolini colorati. Più grandiosa (e famosa) è la serra che custodisce una foresta tropicale: la base è una piscina di acqua dolce in cui nuotano enormi pesci, tra cui i pesci gatto, e da cui si innalzano alberi intorno ai cui tronchi svolazzano tranquille farfalle colorate che avvicinano i visitatori senza timore, o piccoli uccelli. La serra è percorribile fino alla sommità da una passerella a spirale, ad ogni “pianerottolo” terrari che custodiscono camaleonti, serpenti e gechi (che è rigorosamente vietato fotografare con il flash). Infine, quando ormai ci si trova all’altezza delle chiome degli alberi, un ascensore ci porta giù, nel tunnel sotto l’acqua, ad ammirare dal basso i ventri dei pesci. Tutta questa struttura è illuminata e riscaldata da un tetto ad oblò che sfrutta la luce del sole e tutta la copertura del museo è rivestita della vegetazione indigena del luogo con la funzione di isolare termicamente il tetto. Come nei tempi antichi, come i tetti dei nostri masi di montagna o i tetti di erba di tante case del Nord Europa. Ecologico ed efficace, non c’è che dire!
Mentre si visita il museo, una fila di persone attira la nostra attenzione: stanno facendo la coda per ritirare la prenotazione allo spettacolo che si terrà nel Planetario. Questa struttura è la più grande del mondo: sulla sua cupola vengono proiettate immagini tridimensionali e estremamente realistiche che ci fanno “decollare” attraverso uno degli oblò della serra tropicale per esplorare, guidati dalla voce di Sigourney Weaver, il nostro sistema solare e la nostra galassia, nell’ardua ricerca di un altro pianeta in grado di ospitarci quando avremo definitivamente resa inabitabile la Terra. Conclusione? Meglio tenerci il nostro pianeta il più strettamente possibile, perché per migliaia di anni ancora, fino a quando non avremo almeno esplorato i limiti della Via Lattea, non potremo sperare di avere alternative ad esso.
Tocca dunque a noi, persone qualsiasi, visitatori del museo, difendere ciò che abbiamo. Cominciamo allora con il riflettere su ciò che mangiamo e su quanto comporti in termini non solo di calorie, ma di impatto ambientale. A questo scopo, un tavolo presenta modelli artificiali di pietanze “global” come la pizza o le patatine fritte o un panino con un hamburger o un piatto di pasta con salsa di pomodoro (e il resto!); giocate e cercate di indovinare quale preparazione va preferita, perché più ecologica: è divertente ed istruttivo.
Se il costo del biglietto di ingresso dovesse apparirvi inizialmente elevato (soprattutto se, come visitatore adulto, lo pagate intero a 24,95 dollari), siate sicuri che vi ricrederete.
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Accademia del Giglio
Lingua italiana, arte e cultura a Firenze
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