“La città come opera d’arte” di Marco Romano è un breve, facile e interessante saggio (edizioni Einaudi, 2008) che merita certamente di essere letto. Già il titolo è chiaro, e l’autore nella prima parte ci spiega perché dovremmo considerare ogni città come una vera e propria opera d’arte che sia espressione non di un individuo, ma di una intera comunità, o meglio di una “civitas”, la quale costruisce “l’urbs”, ovvero la città materiale. Marco Romano ci mostra poi come lo spirito (o se volete l’essenza o l’anima) delle nostre città sia nato nel tardo medioevo, quando con il rifiorire del commercio i centri urbani sono stati (ri)fondati dalla cittadinanza e non più, come in passato o in altri parti del mondo, da un signore, re o imperatore che dir si voglia. Questa cittadinanza ha poi dato il volto alla città creando nuovi “temi collettivi”, riconoscibili in ogni centro urbano, come, ad esempio, il municipio con la sua piazza (centro politico), la cattedrale (centro religioso), la piazza del mercato (centro economico), il teatro ecc… In questa disposizione si è sempre tenuto presente il principio estetico, assieme all’idea che la città doveva essere funzionale per l’intera comunità. Nessuna speculazione, nessuna ghettizzazione hanno quindi sovrinteso la fondazione di tanti comuni e questa concezione, secondo Romano, si è mantenuta fino all’Ottocento, quando con l’avvento dell’industrializzazione la città ha dimenticato “il linguaggio consolidato attraverso i secoli nella sfera estetica”. La civitas ha così smesso di esprimere l’urbs e i cittadini non sono più stati attori nella costruzione del loro centro urbano. In questo modo sono nate le brutte periferie, “quartieri i cui abitanti sono quasi del tutto privi di un adeguato risconoscimento simbolico della loro appartenenenza all’urbs e per questo a pieno titolo alla civitas“. Alla fine del saggio, Romano propone quindi una soluzione al degrado delle nostre città con un ritorno al bello, inteso non come un richiamo nostalgico al passato artistico della città, ma come un principio portante nella pianificazione di ogni centro urbano, poiché altrimenti “immaginare la città come un congegno meccanico comporta di volerla piegare alle esigenze della sfera tecnica” e – aggiungeremmo noi – immaginare la città come distese di case per ricchi o per poveri, significa darla in pasto a imprenditori edili senza scrupoli.
“Quella città che in Europa è stata nei secoli costruita come un’opera d’arte è davvero l’appropriato ambiente ecologico della sua civitas democratica, quello dove i suoi cittadini, si avvertono intimamente tali, quello nel quale, per il bene e per il male, è nata e cresciuta la nostra civiltà, con i suoi diritti umani e con le sue libertà, che in qualche modo vorremmo costituisse – più ancora del benessere materiale promosso dal suo progresso tecnico – l’humus di un progresso spirtituale.”
Per chi vuole approfondire c’è anche questo sito, in cui si trovano molte mappe e immagini di città (alcune citate nel libro) di vari paesi e di varie epoche.
Salve Lorenzo, questo è un libro leggibile anche per studenti stranieri? Livllo B2 in poi, oppure è, atuo giudizio, troppo specifico e troppo difficile?
Ciao Serena, secondo me il libro nel suo complesso non usa un linguaggio troppo specifico, ma forse uno studente di livello B2 potrebbe incontrare diverse difficoltà nella comprensione. Naturalmente poi dovrebbe avere una conoscenza (di base) di storia e di geografia delle città europee, comunque tentar non nuoce… anzi!