Si inaugura oggi 27 gennaio alle 18,30 presso lo spazio espositivo Campo (via Belvedere 2b, Bologna, tel 051 266043, info@icampetti.it) la mostra di Michaela Bruckmuller. L’esposizione, a cura di Francesco Falciani, resterà aperta, durante Arte Fiera, tutti i giorni dalle 10 alle 20 e, fino al 27 febbraio 2010, dal lunedì al sabato con orario 10-14 / 16-20, chiusa la domenica.
Il lavoro di Michaela Bruckmüller (Wels, Austria, 1971) muove dall’indagine del reale attraverso il linguaggio più classico del fotogiornalismo per approdare, in seguito, a più complesse letture ed interpretazioni. Nei lavori di anni precedenti lo sguardo si posava attento sui volti e gli oggetti appartenuti ad una umanità intravista, penetrandone l’intimità, tanto da evidenziarne le complesse relazioni sociali sottese e sottaciute, come nella serie I am your neighbour (2005-2006) composta da ventiquattro ritratti 80×80. In quelle opere, apparentemente riconducibili allo sguardo attento, freddo e impersonale della tradizione fotografica tedesca degli allievi di Bernd e Hilla Becker, l’immagine assumeva invece una dimensione filmica, e trasportava l’osservatore in un’atmosfera vicina a certi racconti di Raymond Carver, e colonna sonora erano, in sottofondo, certe canzoni Lou Reed, giunte in Europa in ritardo, a dare un significato a vite ormai sperdute in un presente destrutturato.
Nelle opere riunite oggi nello spazio espositivo Campo, l’artista si concentra invece sui propri luoghi, sugli spazi che le sono appartenuti, in cui si è svolta una parte della sua vita, e senza abbandonare la forma, apparentemente impersonale che la contraddistingue, avvia un’ indagine del proprio universo esistenziale attraverso l’uso della messa in scena. Senza cadere nella trappola del formalismo di alcune esperienze, ormai accademiche, dei primissimi anni novanta, nella serie Fiktion l’artista si ritrae nel giardino di casa, che diventa fondo di teatro inconsapevole, ma reso evidente dalla presenza dell’artista, ma che in seguito tornerà, in successivi scatti, al suo anonimato di natura. O è forse il contrario? Resta comunque l’impressione del passaggio, l’impressione dello sguardo che si è posato sui luoghi attraverso il forte bagliore artificiale che illumina una scena poco prima buia e inconsapevole. Questa ambivalenza rende la serie, composta da trenta scatti, un’interessante rappresentazione del rapporto fra l’artista e i luoghi che essa abita, fino a che l’immagine si dispone verso pensieri d’altra complessità intorno all’ idea di autoritratto, visto in una dimensione temporale, che più volte appare nel lavoro di Michaela Bruckmüller, e che diviene via via diventare uno degli aspetti espressivi più importanti. A questo proposito va indicato il video Drassburg Blues girato in super 8 e trasportato in digitale che fa parte della serie Homeland. Le immagini sono registrate nel paese omonimo, e diventano un video sul senso di isolamento simboleggiato da una vecchia moto che attraversa le strade il sabato e la domenica, unica traccia della presenza di abitanti altrimenti invisibili. Tale passaggio scandisce il tempo quasi fosse una sequenza di rintocchi delle campane.
Della serie di Homeland fanno parte anche le foto di Hier ist dort-home is where my heart is, vecchie cartoline che l’artista ha raccolto, come fotogrammi di un film mai girato, per raccontare luoghi del passato nella loro apparente innocenza, ricomponendole sovrapposte all’immagine dei fili d’erba di un prato. Oltre le grande raffinatezza formale rimandano ad un proverbio austriaco che, a differenza del nostro “l’erba del vicino è sempre più verde”, recita invece il contrario “l’erba di casa è sempre la più verde”, aumentando così il senso di vertigine, quasi affettiva che quelle immagini di un passato ingenuo ancora racchiudono.
Diverso è invece il discorso svolto nella serie Vom Gehen, solo all’apparenza di maggiore formalismo. In questo lavoro l’artista intende invece meditare attraverso alcuni oggetti sul significato che essi assumono in contesti diversi: in questo caso sono traccia di un passaggio umano e disegnano, con la loro semplice presenza il confine di territori una volta posseduti ed ora distanti.
Questo insieme espositivo presentato a Campo vuole mettere a fuoco un passaggio importante nell’evoluzione del lavoro di Michaela Bruckmüller che, sempre riconoscibile nel suo rigore formale, si volge con più decisione verso tematiche più intime e universali.
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