Leggi il brano tratto dal romanzo di Niccolò Ammaniti, Ti prendo e ti porto via (pag 52, ed. Mondadori, 1999).
La prima ossessione della signora Biglia era l’igiene, la seconda, la religione. La terza e più grave di tutte, cucinare. Preparava quantità industriali di cibo sopraffino. Sformati di maccheroni. Ragù tirati per tre giorni. Cacciagione, parmigiane di melanzane. Sartù di riso alti come pandori. Pizze farcite di broccoli, formaggio e mortadella. Tortini ripieni di carciofi e béchamel. Pesce al cartoccio, calamari in umido. E cacciucco alla livornese. Vivendo da sola (suo marito era morto ormai da cinque anni); tutto quel ben di Dio finiva o nei congelatori (tre, zeppi come uova) o regalato alle clienti. A Natale, a Pasqua, a capodanno e a ogni festa che meritava un pranzo speciale, perdeva completamente il senno e rimaneva chiusa in cucina anche tredici ore al giorno a scodellare, a ungere teglie, a sgranare piselli, paonazza, gli occhi indemoniati, una cuffia per non ungersi i capelli, fischiava, cantava con la radio e sbatteva uova come un’invasata. Durante il pranzo non si sedeva mai, galoppava come un tapiro birmano avanti e indietro tra sala e cucina sudando, sbuffando e lavando piatti e tutti s’innervosivano perché non è piacevole mangiare con un’assatanata che ti controlla ogni espressione del volto per capire se la lasagna è buona, che non ti lascia finire e già ti ha rimepito il piatto e sai che, nelle sue condizioni, le potrebbe prendere un coccolone da un momento all’altro.
No, non è piacevole.
Ed era difficile capire perché si comportava così, cos’era quel furore culinario che la tormentava. Gli invitati alla dodicesima portata, si domandavano cosa voleva fare, dove voleva arrivare. Voleva ucciderli? Voleva cucinare per il mondo intero? Sfamarlo con risotti ai quattro formaggi e scaglie di tartufo, linguine al pesto e ossobuco con il puré?
No, questo alla signora Biglia non interessava.
Del Terzo Mondo, dei bambini del Biafra, dei Poveracci della parrocchia alla signora Biglia non fregava proprio niente. Lei si accaniva senza compassione su parenti, amici e conoscenti. Voleva solo che qualcuno le dicesse: “Gina cara, gli gnocchi alla sorrentina che fai tu non li sanno fare nemmeno a Sorrento”.
Allora si commuoveva come una bambina, balbettava dei ringraziamenti, abbassava la testa come un grande direttore d’orchestra dopo un’esecuzione trionfale e prendeva dal congelatore un contenitore pieno di gnocchi e diceva: “Tieni, mi raccomando, non li mettere in acqua così, sennò vengono cattivi. Tirali fuori almeno un paio d’ore prima”.
Adesso raggruppa le parole della cucina in aggettivi, sostantivi e verbi.
Trova adesso le parole nel testo corrispondenti a queste qui sotto. attenzione: le parole sono in ordine; una volta trovata una parola vai avanti a cercare la successiva.
- enormi, molto grandi: industriali
- delizioso:
- tutto quel cibo buonissimo:
- pieni:
- la ragione, il cervello:
- rossa in faccia:
- matta, pazza:
- matta, pazza:
- colpo, shock
- rabbia:
- togliergli la fame:
- piccoli pezzi di tartufo:
- tormentava:
- parlava con brevi interruzioni e ripetizioni:
Qual è il tempo verbale più usato nel testo? Perché?
Per aiuto e assistenza contattate gli insegnanti della nostra scuola a: adg.assistance@gmail.com
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