La nascita dei tarocchi viene storicamente collocata sul finire del Medioevo, quando sbarcò in Italia il gioco delle carte, nato secoli addietro in Cina, adottato poi dagli arabi che lo portarono, grazie ai saraceni, nel nostro Paese. La canonizzazione del mazzo avvenne nella prima metà del Quattrocento, tra la corte dei Visconti e quella degli Este. I Trionfi (questo il nome originale) nacquero come passatempo ludico per le corti, ma presto si trasformarono in gioco popolare. Ogni signoria ebbe poi la propria declinazione di tale svago, personalizzandone i semi, o le figure degli Arcani maggiori. Particolare fu la variante fiorentina, che prese il nome di “Minchiate” e presentava 41 Trionfi (invece che 22), con l’aggiunta dei segni zodiacali, delle tre virtù teologali, dei quattro elementi e della Prudenza. Il nome “Minchiate” si pensa debba derivare dal verbo “sminchiare” che in ambito bolognese significa rilanciare, ma può indicare che si tratta di un gioco e pertanto non va preso sul serio.
Soltanto più tardi i tarocchi diverranno mezzi di pratica divinatoria. Gli esoteristi fanno risalire la genesi di queste carte addirittura all’antico Egitto, quando secondo loro i faraoni le avrebbero utilizzate per predire il futuro: tale tesi, però, non trova riscontri storiografici precisi. Sappiamo certamente che gli occultisti le utilizzavano largamente nel XVIII secolo (anche se alcuni storici sono inclini a riconoscere l’inizio di tale pratica già nel XVI sec.); l’uso divinatorio dei tarocchi continuerà fino ai giorni nostri, tanto da soppiantare quello originario del gioco.
Favorevoli o contrari dobbiamo comunque ammettere che i tarocchi esercitano un enorme fascino. Fascino che sicuramente ritroviamo anche nella mostra I Tarocchi da poco inaugurata nel Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi, con opere di Francesco Clemente (Napoli 1952), pittore della Transavanguardia italiana noto anche per le sue collaborazioni con Jean-Michel Basquiat e Andy Warhol. L’artista, confrontandosi con le settantotto carte ed interpretandole in chiave strettamente privata, sembra recuperare soprattutto l’aspetto ludico primigenio: il gioco si manifesta nella varietà delle tecniche pittoriche, che spaziano dall’acquarello al pastello, ma soprattutto nel ritratto di amici e parenti, che appaiono tra gli Arcani maggiori e minori, nonché in due autoritratti in guisa di Matto e di Asso di Spade. Dello stesso artista, è esposto, nell’adiacente Sala del Camino, un ciclo pittorico che mostra lo stretto dialogo con le tematiche cristologiche: dodici tele che lo rappresentano nelle vesti degli apostoli. Sacro e profano dialogano come per osmosi tra le due sale.
Una mostra dove si respira la sintesi degli ultimi due anni di viaggi e produzione dell’artista, diviso tra America, India ed Italia; forte delle sue radici napoletane, ma portato per vocazione all’essere cittadino del mondo. Visitabile fino al 6 novembre 2011 solo se in possesso del biglietto per la Galleria degli Uffizi: un intermezzo contemporaneo tra i grandi classici dell’arte dal ‘200 al ‘700.
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