Il 25 Ottobre scorso è partita l’iniziativa “Artisti a km 0”, organizzata da Aparte e dal Centro per l’Arte Contemporanea L. Pecci, presso l’auditorium del medesimo museo. Il primo artista a “lasciarsi incontrare” è stato Murat Önol, che ha eseguito la performance “Monologo tra due gemelli”; tra poesia e fattività, ha fatto partecipi i presenti della sua ricca e complessa poetica, regalando momenti di religiosa introspezione ed altri di gioconda condivisione, riuscendo a coinvolgere il pubblico ed a trasformare una sua opera “unica” in tante piccole molecole “artistiche”, in ricordo di questo evento. Ricordo indelebile in chi vi ha preso parte.
S.M. Caro Murat, intanto ti chiederei di raccontarci qualcosa di te, del tuo rapporto con l’arte in tutte le sue forme, conoscendo il tuo animo eclettico che spazia tra pittura, musica, poesia e performance.
M. Ö. Quando ho visto per la prima volta un quadro di Victor Vasarely, mi sono come spaccato in due. Riguardavo spesso quell’immagine. Era come abbracciare mio babbo. Da quel giorno in poi, per anni tanti artisti hanno fatto parte della mia famiglia immaginaria. Questa famiglia mi faceva vedere terreni alternativi, mi offriva un rifugio. Non stavo cercando di scappare dalla mia famiglia perché, aldilà dei normali conflitti, non mi ha mai creato nessun problema e mi ha sempre abbracciato. Di questa famiglia immaginaria facevano parte rappresentanti di ogni espressione artistica, dalla pittura alla musica, dal cinema alla poesia. Breton era mio babbo, Yüksel Arslan e Beckett i miei zii, Morrissey mio fratello e via così. Da loro ho imparato tutte le sfumature e le problematiche delle arti. La mia famiglia reale, invece, mi ha fatto capire le possibilità della creatività nella vita di ogni giorno. Ho trovato un punto di conciliazione fra queste due famiglie nel momento in cui ho deciso di diventare un artista. Tutta questa esperienza, per me, è comunque stata un grande insegnamento.
S.M. Come cambia il tuo mondo e come realizzi espressivamente questo cambiamento?
M. Ö. Il mio mondo, ovviamente, cambia di continuo, anche se non è questo il motivo dei miei continui passaggi fra le varie espressioni artistiche. Ho cominciato con la poesia, il cinema e la musica. Ognuna di queste forme aveva una dinamica espressiva interna tutta propria. Credo che il prodotto che si ottiene alla fine di un processo artistico crei dei rapporti diversi a seconda del mezzo utilizzato. Per questo motivo, quando ho scelto di raccontare gli esseri umani, ho dovuto per forza usare forme diverse per poter esplorare, nei limiti delle mie capacità, terreni diversi.
S. M. Per “Artisti a Km 0”, che si è svolto al Museo Pecci, grazie ad una stretta collaborazione con Aparte, hai eseguito “Monologo tra due gemelli”: chi sono questi due gemelli?
M. Ö. Questa è una domanda molto, molto difficile. Questi due gemelli sono io (ma quale “io”?) e tutto il resto, cioè il mondo, la vita e gli esseri umani. Io sono un grande ammiratore di un poeta turco che si chiama Enis Batur e il concetto di gemelli per anni è stato uno dei temi più significativi della sua poetica. Tale concetto mi ha dato la possibilità di parlare del rapporto fra l’originale e la sua copia, la sua immagine, il suo riflesso, il suo identico, il suo doppio, il suo pseudonimo eccetera. Ovviamente mi interessava parecchio discutere il nostro rapporto con l’altro in questi termini.
S. M. Assistendo alla performance si evince un forte dualismo, tra lirismo (con la proiezione di una tua poesia) ed azione fisica, ferina e letale per la tua opera o tra esperienza individuale che trova legittimazione in quella collettiva; sono le due facce dei “gemelli” Murat Önol?
M. Ö. Io penso di sì, anzi, probabilmente sono solo due delle tante facce dei gemelli. Penso però che questo valga per ognuno di noi. Non posso comunque negare che ci sia un certo grado di violenza nelle mie opere. Questa violenza nasce anche dal fatto che, come diceva il poeta turco Ece Ayhan, “per essere civili, innanzitutto bisogna spogliarsi”, e spogliarsi davanti a tutti è un atto abbastanza violento perché si tratta di distruggere la propria struttura mentale per poi ricostruirla. Io voglio un mondo ricco di persone civili e di civiltà. Questo desiderio è la mia politica, la mia arte, la mia vita. È questa la ricchezza che desidero.
S. M. Durante l’azione si respirava un’aria di misticismo e sacralità: qual è il tuo rapporto con queste due tematiche ed hai una figura di riferimento?
M. Ö. Quest’aria di misticismo e di sacralità nasce dal mio amore e dal mio odio. In ogni mia opera c’è un diverso equilibrio fra questi due elementi e quest’aria mi aiuta a creare un rapporto più immediato e diretto con lo spettatore. Lo scopo dell’artista Murat Önol è che lo spettatore si avvicini alla sua opera sia con amore che con odio, anche se la persona Murat Önol preferisce gli spettatori desacralizzanti. In questo caso, ho tante figure di riferimento fra i Sufi dell’Anatolia, ma se proprio devo citarne una in particolare, posso parlare dello sceicco Bedreddin, un Sufi ottomano del XV secolo che ha scatenato una rivoluzione contro gli Ottomani dicendo: “Condividete tutto tranne le labbra della vostra amata”. L’idea della condivisione, secondo me, è una delle maggiori potenzialità dell’arte.
S. M. Che ruolo hai desiderato ricoprire e quale hai sperato avessero i presenti all’evento? Ha soddisfatto le tue aspettative?
M. Ö. Finché c’è qualcuno che mi ascolta o che viene a vedere il mio lavoro, io sono soddisfatto. Non desidero e non voglio ricoprire alcun ruolo. Voglio semplicemente essere. Come diceva il poeta Sufi Yunus Emre: “Non pensate che sia un pazzo. Nel giardino dell’amicizia, sono un usignolo”.
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