Il 3 novembre scorso si è tenuta la seconda serata della rassegna “Artisti a km 0” organizzata presso il Museo Pecci di Prato. Dopo l’incontro di apertura tenuto dall’artista turco-italiano Murat Önol, è stata la volta del pratese Duccio Mantellassi che, grazie anche al contributo di Fabrizia Bettazzi e Francesca Sarteanesi, che con lui hanno elaborato e scelto i testi letti durante l’evento, ha presentato se stesso e la sua frizzante ed istrionica personalità artistica.
Pittore dal tratto essenziale, ma estremamente identificativo, Duccio Mantellassi ha condiviso la sua idea e visione dell’arte, nonché le sue “visioni” personali ed il modo di percepire la realtà che lo circonda, rendendo possibile a chi ha avuto il piacere di presenziare di “invadere innocentemente” il mondo di quest’artista e portare, anche solo per poco, quelle “lenti” proprie di quest’affascinante creativo.
Davanti ad un buon caffè ha risposto ad alcune domande per fissare dei punti sulla sua poetica, sulle influenze e sul perché fare arte.
S. M. Duccio, parlaci un po’ di te, perché hai scelto di misurarti con la pittura e che percorso hai scelto per arrivare a lei.
D. M. Da piccolo disegnare era il mio passatempo preferito, ciò che mi divertiva di più a discapito dei classici giochi che occupano il tempo dei bimbi. Crescendo mi sono appassionato al mondo dei soldatini di piombo, una possibilità per ricreare quel mondo fantastico che stava alla base delle mie letture e del mio immaginario, grazie a Tolkien. Così ho iniziato a dipingere con gli acrilici miniature di elfi, gnomi, guerrieri, creature mitologiche; ma ad un certo punto tutto questo non mi bastava più. Volevo fare qualcosa che fosse sempre e solo mio, dall’inizio alla fine e scolpire ha sedato per un po’ questo mio desiderio. Desiderio che si è appagato solo con la pittura su tela, visto che è la tecnica più nelle mie corde, anche se la mia ricerca ultimamente verte su altre tecniche, come l’incisione su rame e l’acquarello.
S. M. I soggetti della tua produzione pittorica sono in prevalenza ritratti; come mai questa scelta e come scegli i soggetti rappresentati?
D. M. Il volto esprime meglio chi sei, perché è lo specchio della tua vita e del tuo stato d’animo, ma anche delle tue aspirazioni, di ciò che vorresti essere. I soggetti ritratti sono amici, conoscenti, ma anche perfetti sconosciuti che si fissano nella mia mente per un particolare e nella loro rappresentazione vado a mettere in risalto ciò che ha suscitato il mio interesse. Ho la piena libertà nello scegliere il soggetto e nell’evidenziare o meno i suoi caratteri identificativi, trasponendo così la mia immagine personale su tela.
S. M. Il tuo stile essenziale, ma perfettamente riconoscibile e completo, come si è evoluto nel tempo ed a chi o cosa ti sei ispirato? Come sono cambiati i tuoi riferimenti artistici durante la tua vita?
D. M. Nella mia produzione si possono distinguere due filoni: quello “fumettistico”, che vuole rendere omaggio ad alcuni grandi, tra i quali Miller e Hewlett e quello “sottrattivo”, dove elido volontariamente degli elementi del volto a favore di quelli che lo rendono unico ed interessante per la mia visione. Il mio tratto mutua tanto dall‘illustrazione, quanto dalla grafica pubblicitaria e dalla ricerca di alcuni grandi della pittura, come Modigliani, Schiele o Klimt; questo perché non sento il ritratto iperrealistico in linea con il mio “fare arte”, ma condivido la scelta di questi artisti di sviluppare un loro stile e caratterizzarlo, in modo da renderlo inconfondibile. Per quanto riguarda il mondo del fumetto, da piccolo ero affascinato dai disegni di Franquin e Froideval; poi mi sono avvicinato al mondo di Stano, di Otomo, di Toriama, del già citato Miller e di Buscema. Sono partito dal mondo franco-belga, perché era quello che trovavo in casa: la loro cura per le tavole, per il formato, per i colori ne fanno dei fumetti “da adulti”, anche se i loro soggetti popolano la fantasia dei bimbi (Asterix, Lucky Luke, Tin Tin, I Puffi).
S. M. L’anno in corso ti ha visto occupato in maniera a dir poco frenetica in mostre personali, collettive, eventi eterogenei. Il tutto è stato suggellato dalla tua presentazione “a Km 0” ; cos’è stata la miccia che ha innescato questo meccanismo?
D. M. Tutto nasce dal primo ritratto di “Innocenti Invasioni”, ovvero “Matiocchi – Il maglione blu”; la realizzazione coincide con una data significativa per la mia storia e sento nascere il bisogno incontrollabile di dipingere il volto di quella mia amica, che ho sempre associato con quel pullover blu, ma che non ha mai indossato in nessuna foto in mio possesso. Inizia così la serie che verrà presentata ad aprile alla galleria “Asterisco” di Prato, grazie anche alla cura ed ai consigli di Fabrizia, Monia Nannini e Alessandro Carretti. Con quel nucleo originario di 20 ritratti si creano i presupposti e le conoscenze per tutto ciò che ne seguirà.
S. M. La tua presentazione al Pecci ha fatto intuire qualcosa di te, del tuo mondo e di ciò che popola la tua fantasia; ma ad un certo punto si è percepito un momento di stasi, di vuoto. Puoi dirci qualcosa di più a riguardo?
D. M. La selezione dei testi è stata fatta insieme a Fabrizia Bettazzi e Francesca Sarteanesi, che hanno contribuito con un loro scritto relativo alla serata. Ho citato i Doors, i Beatles, Pirandello, Warhol e Svevo, alcuni degli artisti ed intellettuali che sento vicino in questo momento. Lo showreel che è stato proiettato durante l’incontro, ha descritto visivamente alcune delle mie passioni ed opere. Il momento di stasi che dici di aver percepito rispecchia l’assenza dell’arte in un certo periodo della mia vita: per circa dieci anni la pittura non ha più fatto parte del mio quotidiano, non perché fosse stata una scelta cosciente, ma era come se dovessi attingere altre, nuove informazioni ed ispirazioni. E penso che così sia stato.
S. M. Pirandello, “Uno, nessuno e centomila”, ed il tuo naso: ti piace autoritrarti. È per questo che hai affermato: “Siamo noi stessi coloro che conosciamo meglio”?
D. M. Ho sempre avuto un buon rapporto col mio volto e ciò che vedo riflesso nello specchio mi piace. La citazione da: “Uno, nessuno e centomila” l’ho scelta perché mi rispecchia, a modo mio, ovvero sento di avere un animo multiforme, anche se definito nelle sue linee guida, ma quelle sfumature e chiaroscuri presenti mi permettono di adattarmi alle situazioni più disparate ed alle compagnie più eterogenee. Inoltre credo che sia proprio di ognuno il desiderio sia di vedere senza esser visti, che il bisogno di mostrarsi per affermare il proprio ego e la propria unicità. Ponendomi queste domande costantemente, penso che sì, siamo le persone che conosciamo meglio, rispetto anche ai nostri affetti più cari, perché siamo sempre noi il fine anche quando ci confrontiamo con gli altri. Lo facciamo, ma per conoscere meglio quegli “strangers” che popolano il nostro intimo.
Un estratto video dell’evento (grazie alla concessione di Scheda)
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