Durante la serata di “Artisti a km 0” del 31 Maggio 2012, Ignazio Fresu ha presentato l’opera “Quel che resta” installata all’entrata della Biblioteca Lazzerini di Prato. Tra i più prolifici scultori italiani contemporanei, la sua ricerca mutua dall’avanguardia e dal concettualismo del XX secolo, con un forte substrato filosofico, dai primi greci ad Emanuele Severino.
Ignazio racconta ad adgblog come è nata la sua ultima (o quasi) creazione, visitabile gratuitamente fino al 20 Luglio 2012.
Silvia Mordini: Come nasce l’idea dell’opera “Quel che resta” essendo essa site-specific per la Biblioteca “A. Lazzerini” di Prato? Quanto tempo ha richiesto la sua totale preparazione?
Ignazio Fresu: Le idee nascono e progrediscono lentamente, quasi da sole, senza che neanche me ne accorga. Ma sono come un fuoco sotto la cenere che poi divampa all’improvviso con l’urgenza di svilupparle e realizzarle. Ne sono soggiogato, tanto che potrebbero sembrare nate lì per lì. In realtà, erano anni che desideravo realizzare qualcosa per la biblioteca Lazzerini di Prato, Ho sempre avuto una particolare venerazione nei confronti delle biblioteche, di tutte le biblioteche che definirei “religiosa”. Le ho sempre considerate le vere cattedrali dell’umanità e quando poi, la Lazzerini si è trasferita nella nuova sede nel cuore del centro storico, nello splendido scenario architettonico dell’antica Fabbrica Campolmi, il più grande complesso industriale d’origine ottocentesca all’interno delle mura medievali, il nuovo straordinario spazio mi ha rimesso inconsapevolmente in moto le idee ed ho immaginato qualcosa che la avvolgesse, non per rinchiuderla, ma al contrario per espanderla nella città. Volevo realizzare un’opera che mettesse in comunicazione lo spazio interno con quello esterno della città di Prato.
La scorsa estate in occasione di una mostra ho concretizzato una prima installazione semplificata di un singolo cumulo di libri simile a quelli che avrei poi realizzato per la biblioteca e ho eseguito disegni e rendering per meglio definire il progetto e per proporlo presso le sedi adeguate ed avere il necessario sostegno e autorizzazioni.
A parte l’idea, che “covava sotto la cenere”, sono stati necessari circa nove mesi per la completa messa in opera di cui almeno sei interamente dedicati alla sua realizzazione materiale.
S. M. Ci sono state delle resistenze nella messa in opera della stessa?
I. F. Difficoltà ce ne sono state ed erano prevedibili perché l’opera si mostrava molto ambiziosa e a occhi meno esperti poteva apparire “invasiva”. Ho però avuto l’immediato sostegno del progetto di massima, da parte dell’Associazione Pecci Arte e del Comune di Prato, nell’Assessorato alla Cultura. Poi, ed è una cosa assolutamente normale, nella sua realizzazione pratica, mi sono imbattuto con tante difficoltà. Bisogna, però, avere la fermezza di perseverare, essere fortemente motivati e credere nel proprio lavoro. Quando collabori con le istituzioni, la tua volontà è duramente messa alla prova. Ogni piccolo particolare è vagliato e discusso. Solo la tenacia fa sì che gli impedimenti siano rimossi e si superino gli ostacoli che via via si frappongono alla realizzazione del tuo progetto.
S. M. Un titolo emblematico, che riflette la natura della tua creazione; i libri appaiono come reperti fossili di un passato non prossimo: sta a noi riscoprirli? In un periodo di forte crisi come quello odierno quel che ci resta è riscoprire la forza della cultura, ma sarà un’impresa paragonabile ad una spedizione archeologica? Che ne pensi?
I. F. La cultura e i libri ne sono uno dei suoi simboli più rappresentativi, deve essere tutelata e sostenuta. È un dovere che abbiamo ereditato dal passato ed è un nostro impegno inalienabile nei confronti del presente.
L’interpretazione che proponi dell’opera mi trova in sintonia e la considero molto condivisibile.
Sono però altresì profondamente convinto che dal momento in cui un’opera viene presentata al pubblico, all’artista rimane la paternità artistica ma non ha più il copyright dell’interpretazione, questa diventa di pubblico libero dominio.
S. M. Un forte simbolismo impregna la tua opera: i sei cumuli di libri sono disposti rappresentando la sezione aurea, ma rimandano anche alla teoria dei “sei gradi di separazione”; che ricerca personale sta alla base di questa fusione?
I. F. Più che un richiamo simbolico, gli aspetti che metti in rilievo, vogliono essere dei suggerimenti di lettura. I cumuli non sono un muro, una trincea, non una linea di separazione ma di unione, una linea di espansione che partendo dalla biblioteca si allarga nell’ambiente circostante inglobando lo spazio esterno in una spirale aurea che prosegue all’infinito. Infinito ben rappresentato dalla teoria dei “sei gradi di separazione” per cui una persona sconosciuta può essere rintracciata attraverso solo sei passaggi, e allo stesso modo può essere diffusa la cultura.
S. M. In parallelo all’opera che hai realizzato a Prato hai lavorato anche a “Il sabato del villaggio”, che hai installato a Cerreto Laziale: un tributo al poema, ad un passato familiare che si colloca perfettamente all’interno di un “villaggio” profondamente leopardiano; è anch’essa un’opera site-specific? Quanto è collegata a “Quel che resta”?
I. F. I due lavori s’intrecciano non solo temporalmente ma anche per i loro contenuti.
“Quel che resta” posto come un interrogativo, potrebbe apparire un discorso nichilistico, come anche le strofe conclusive della poesia di Leopardi. Eppure la risposta è: Qualcosa resta! Foss’anche il solo ricordo della poesia imparata a memoria da bambino e non compresa.
Cosa resta? Resta la memoria, resta il ricordo col suo sapore. Leopardi ci mette in guardia nei confronti delle nostre illusorie aspettative e della nostra incapacità di godere del presente nel momento stesso in cui questo viene vissuto, tralasciando però la grande ricchezza della nostra memoria, dei ricordi che sono una parte importante della nostra vita. Lo è la stessa poesia, lo sono le “cose” che formano entrambe le installazioni. Lo sono i libri nella biblioteca Lazzerini, lo sono i giochi a Cerreto Laziale, il “villaggio” della poesia leopardiana. Il luogo che immaginavo dai versi, la stessa gente, la stessa storia.
Articoli correlati
Incontri con gli “Artisti a km O”: Murat Önol, Duccio Mantellassi, Beatrice Gallori, Ivano Cappelli, Consuelo Bellini, Rudy Pulcinelli.
Mostra a Palazzo Strozzi: Americani a Firenze, Sargent e gli impressionisti del nuovo mondo.
Brian Duffy: un genio incendiario.
Disegno e pittura: paesaggio, natura e marina.
Accademia del Giglio, italiano, arte e cultura a Firenze.
Seguiteci su Facebook, Twitter, LinkedIn, Pinterest e Foursquare.
Commenti recenti