“Perché la fotografia di una persona non ha mai la profondità che può avere un ritratto di un pittore?” Si andava chiedendo Robert Nozick, alla fine degli anni ’80, nell’introduzione a uno dei suoi lavori meno accademici dal titolo The Examined Life: Philosophical Meditations. E subito riusciva a rispondersi: “La fotografia e il ritratto racchiudono una diversa quantità di tempo”. Con ciò intendendo che nella prima si offre una rappresentazione quasi istantanea di un soggetto, mentre con la seconda si tenta di condensare le espressioni assunte da un volto durante tutto il tempo occorso alla realizzazione di una sua rappresentazione statica.
In tale accezione e non solo, si potrebbe affermare che la differenza tra le due forme artistiche appena descritte riposerebbe nella diversa modalità di cattura di un’immagine: con la fotografia l’appropriazione sarebbe quasi simultanea all’esposizione del soggetto; al contrario, con un dipinto si fonderebbero numerose esposizioni in un’unica raffigurazione. Di conseguenza, fatta salva l’approssimazione del concetto di simultaneità, così come prescritto dalla Teoria della Relatività Ristretta, secondo cui appunto non è possibile che due eventi risultino realmente simultanei, o meglio non è concesso dalle leggi della fisica – stando almeno a quel che ne sappiamo oggi… – di percepirli tali secondo un sistema di riferimento comunque arbitrario, è naturale allora sottolineare che la differenza tra le due forme di rappresentazione non insisterebbe tanto nell’essere la fotografia un’impressione più verosimile di un dipinto, come tipicamente si potrebbe essere portati a pensare, quanto piuttosto nella quantità di memoria depositata in ciascuna rappresentazione, memoria che risulterebbe dalle numerose caratterizzazioni reali di quell’immagine, ovvero immagini dell’evoluzione di un determinato soggetto durante un intervallo di riferimento che, nel caso di una fotografia, sarebbe di gran lunga più breve.
Tuttavia tali evoluzioni restituiscono una rappresentazione che non può essere messa in corrispondenza con un’immagine reale! Per dirla in altri termini, la rappresentazione su tela dell’evoluzione temporale delle immagini reali di un soggetto non è a sua volta un’immagine reale, bensì una rappresentazione – amalgama – costituita da rappresentazioni di parti di immagini di realtà conosciuti e/o ricordati dall’autore in tempi successivi e raffigurati assieme secondo il suo proprio criterio soggettivo. Ricordando ora le idee ispiratrici del Movimento Cubista, si potrebbe infine affermare che qualunque rappresentazione iconica – che utilizzi cioè come elementi espressivi icone e non simboli né indici, per dirla alla Peirce – non sarebbe altro se non una raffigurazione cubista della relazione tra l’esistente e l’autore.
Francesco Martini è Postdoc Researcher in Filosofia della Scienza al Dipartimento di Filosofia dell’Università degli Studi di Bologna. Si occupa prevalentemente di teoria della conoscenza con particolare riguardo al dispositivo epistemologico della testimonianza in ottica anti-riduzionista, e di storia e antropologia della scienza e delle tecniche nell’ambito dello studio delle tecnologie digitali.
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