La città di Prato, seconda provincia in Toscana per numero di abitanti, è sempre stata storicamente considerata una sorta di appendice di Firenze. La sua estrema vicinanza al capoluogo e la sua esigua estensione territoriale (è la provincia più piccola della Toscana) ha forse fatto sì che ad un osservatore poco attento, Prato sembrasse quasi un quartiere, una periferia di Firenze. Ma chi come me ha avuto modo di conoscere da dentro questa città e i suoi abitanti, sa bene con quanto orgoglio i pratesi abbiano da sempre cercato di combattere questo stereotipo distinguendosi culturalmente dagli ingombranti vicini. E ancora, per chi come me, fiorentino di nascita e lì vissuto per trent’anni, si trovasse un giorno in un tipico circolo di quartiere, di quelli dove ci sono i vecchini a giocare a carte o a bersi una spuma o un bicchier di vino, sentirebbe chiaramente che il parlare in questi luoghi, distanti tra loro forse non più di 15 chilometri, assomiglia sì a quello di casa, ma è in sostanza così diverso che provando a pronunciarlo chiunque si accorgerebbe che c’è qualcosa di stonato e innaturale.
Alan Pona, dottore di ricerca in linguistica, ma anche esperto di didattica dell’italiano come L2 e facilitatore linguistico di italiano con bambini di origine straniera, ha messo nero su bianco in questo suo libro C’era una ‘òrta. Il dialetto di Prato attraverso due sue novelle che cos’è il dialetto pratese, come si distingue e come si parla: un libro che credo rimarrà indispensabile per ogni studioso di dialetti toscani.
C’era una ‘òrta è strutturato in due parti che dividono esattamente a metà le sue centodieci pagine. La prima parte che contiene la trascrizione di due famose novelle La capra ferrata e Petuzzo (con le illustrazioni di Silvia Caparrini), si apre con una breve premessa dell’autore che è una dichiarazione d’intenti e di poetica: “Questo libello nasce, quindi, integrando più spinte: il recupero della memoria e la passione per i fatti di lingua. (…) mi cullo nell’idea di me stesso come un narratore, che conosce le storie e le racconta adattandole al proprio linguaggio e alla propria esperienza.”
L’introduzione è fondamentale per capire il metodo di studio, scientifico certamente, da ricercatore di spessore quale è Pona, e con un approccio antropologico vicino a quello di Carlo Lapucci, che consiglia ai ricercatori una lunga familiarizzazione con i narratori, in modo da appropriarsi del loro linguaggio per poterlo successivamente restituire con interventi a tavolino che rendano però chiaro “l’estro, il brio dei narratori, la loro inventiva e linguistica”. Così Pona ci conduce attraverso questa sua ricerca, ci fa conoscere la nonna Marì che da piccolo gli raccontava queste novelle, le amiche della nonna e il luogo stesso in cui queste novelle venivano raccontate, ovvero il casone, il cortile tipico di alcune zone di Prato e dintorni, che è simile a quello di un condominio, ma in cui le case che lo circondano sono dei terra-tetto e non dei palazzi.
La seconda parte del volume è invece interamente dedicata alla lingua di Prato e presenta una vera e propria grammatica, probabilmente la prima mai pubblicata, costituita da uno studio attento dei suoni e da una rassegna breve, ma dettagliata e accompagnata da esempi, delle caratteristiche morfosintattiche e lessicali del dialetto pratese.
La prefazione dell’opera è a cura di Tiziana Chiappelli che sottolinea l’approccio “democratico” di Pona nella sua ricerca: esaltazione del dialetto, certamente, ma in funzione “includente e valorizzante”, non a scapito quindi di altre possibilità linguistiche già ampiamente presenti nel territorio.
Il libro è edito da Romano (13,90 Euro) e può essere acquistato nelle maggiori librerie di Prato e Firenze o su internet.
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Sono professore emerito di Vernacolo Pratese, nonche’ Membro Onorario della Accademia dei semi di lino’che assieme alla Accademia della Crusca, da secoli studia l’italiano.
Vorrei dire al dr. Poma,che a Prato si parla il vernacolo da centinaia d’anni, e
fargli sapere che il dialetto e’ lingua regionale,mentre il vernacolo,lingua locale,
come diceva il grande scrittore e pittore Rinaldo Frank Burattin,’si parla se si vuol parlare’Inoltre, va aggiunto che in toscana si parla dappertutto la ‘lingua toscana’e
non dialetti.Consiglio al suddetto di leggere (o rileggere) ‘Maledetti Toscani’del
nosro gfande Malaparte,