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Italiano con le italiane: intervista a Lorella Ronconi – prima parte

sirena guerrigliaGià in altre occasioni vi abbiamo parlato di lei, Lorella Ronconi, donna, poetessa, grande combattente per il riconoscimento dei diritti dei disabili. Questa volta, cogliendo seppure un po’ in ritardo l’occasione dell’uscita della sua seconda raccolta di poesie Sirena Guerriglia, abbiamo chiesto a Lorella di rilasciarci un’intervista. La prima parte, la potrete leggere qui, di seguito a Fragile, una delle poesie contenute nella pubblicazione: una piccola richiesta molto intima e delicata di attenzione e amore. La seconda parte, la troverete nel prossimo post.

Fragile

Leggera delicatezza
sprezzante limitatezza
dell’umana caducità:
Fragilità.
Povero, solo, essere
che hai e non sei.

Maneggiare con cura
l’abbracciante creatura
mareggiata dell’amore.

Maneggiare con cura
il fragile di me
che forse
vi appartiene.

Lorella, grossetana o, come di sicuro preferisci, maremmana doc, quando sei nata e in quali circostanze?
Nata nel 1962, 26 maggio, San Filippo Neri, il mitico santo nativo di Firenze, diventato sacerdote poi, chiamato da tutti Pippo buono, il santo della Gioia, inventore dell’oratorio, amante dei bambini. Mi sono sempre sentita affascinata da lui e chiedo sempre a Dio il dono della gioia. A volte penso che sia proprio Filippo Neri che mi ha trasmesso questo insegnamento. Mamma e babbo avevano provato in tutti modi ad avere figli, dicevano loro che probabilmente erano sterili: sono nata dopo 7 anni “per caso”, nessuno si è mai spiegato come mai e come mai dopo, nonostante le loro prove, non sono venuti altri bimbi.

Quando hai capito che non eri come gli altri ? Come ti sei sentita?
Ho preso “coscienza di me” intorno ai 5 anni, guardandomi un giorno allo specchio, mi sono vista un po’ bassa e con la testa grossa, qualcuno probabilmente mi aveva offeso con aggettivi sulla mia statura, mi ricordo che fui angosciata dalla mia testa, piena di dubbi, domandai a mamma se ero normale… lei mi rincuorò ed io mi sentii “a norma”.

A scuola, ti sei sempre trovata bene con i tuoi compagni di classe o hai avuto problemi?
Non sono andata all’asilo, dai 18 mesi in poi ho iniziato a girare per ospedali per capire il come e perché della malattia che avevo. A scuola sono stata inserita in una classe “normale”: nel ’68 furono sospese le scuole differenziali per disabili, ma esistevano ancora; mamma si batté per inserirmi in classe con altri bambini “normodotati”e non in collegio per disabili come tutti le dicevano. Fu grande amore, gioco, amicizia, accoglienza, con gli insegnanti e i ragazzi non ho mai avuto sentore di esclusione, anzi, ero spesso il centro, la capobanda di idee e giochi, a parte educazione fisica che non facevo. Rimanendo sola in classe, con mia gioia, potevo fare tutto quello che volevo!
Le superiori furono un trauma: per la formazione culturale, volevo andare all’artistico, ma era ancora privato e con tante scale (ogni scuola superiore aveva le scale…), fui costretta ad andare al commerciale, unica scuola con ascensore. Una tragedia: odiavo i numeri, totalmente; salvata dalle materie umanistiche e dalle lingue straniere, diplomata con grande fatica, mia; davvero i numeri ancora mi mettono in crisi!

Sei circondata da tanti amici che ti vogliono un mondo di bene, e lo sai: pensi che sia un fatto normale o che tutto questo affetto sia anche frutto di un tuo lavoro ai fianchi?
Si, sono davvero “circondata” a livello planetario, nel vero senso della parola, di amici, di persone che mi stimano. Non so perché, forse sono una persona positiva. Devo dire sinceramente che fin da bambina ero positiva, allegra, propositiva, trascinatrice di amici e di amicizie, amo la vita, amo le persone, tanto, a prescindere, credo nel bene, nel senso vero, provo per gli altri un grande bene, a volte penso che vorrei abbracciare tutti, stringere tra le braccia il mondo per dirgli: “Ti ringrazio! Ti voglio bene”. Non sono demente, o grulla, sono anche una testarda e impulsiva, ma credo davvero nella positività dell’altro. Comunque credo di avere avuto anche tanta fortuna, gli amici mi hanno “salvato la vita”, gli amici “motori” di vita per me.

Qual è la cosa più frustrante che devi affrontare quotidianamente?
Quotidianamente, quando si hanno gravi difficoltà motorie, si devono sopportare, anzi accettare molte cose, la mancanza di libertà, il doversi fidare e affidare agli altri, anche nell’intimità, farsi lavare, toccare, vedere, rinunciare a cose tipo: “il telecomando è su quel mobile, non lo posso prendere, non guardo la tv” oppure “Ho voglia di piangere, i fazzoletti non sono a portata di mano, non devo piangere”. La cosa peggiore è la mancanza di privacy, è strano ma le persone non hanno capito ancora che quando una persona in carrozzella, con difficoltà motorie, è al telefono, si devono spostare, allontanare. Se siamo in due ad un tavolo o sotto l’ombrellone o da qualsiasi parte e all’altro suona il telefono, lui /lei si alza e si allontana per parlare con calma, in privato, poi torna. Se suona il telefono a me, rimangono tutti lì attorno, è imbarazzante sentirsi ascoltato, osservato, non c’è privacy, nemmeno per chi mi sta chiamando… In genere preferisco non rispondere piuttosto che far sapere le mie cose. E’ un “vizio” culturale che mi manda in bestia, che non so come far capire al mondo!

Parliamo adesso dei tuoi libri: quando e perché hai cominciato a scrivere poesie? Che significato ha per te esprimere i tuoi sentimenti in questa forma?
Ho cominciato a scrivere poesie perché erano le cose più piccole che potevo fare; mi spiego: prima suonavo il piano, 10 anni… poi ho dovuto interrompere perché le scale, le ottave, mi infiammavano i polsi creandomi tanti dolori. Allora dipingevo anche, ma come il piano i dolori per l’uso dei pennelli ai polsi era tanto. Cominciai a scrivere favole, ma erano troppo lunghe, lo scrivere molto mi infiamma le articolazioni che non ho più, danneggiandomi i tendini, per cui quando un giorno un mio amico mi “costrinse” a partecipare ad un concorso di poesia a Recanati sulla disabilità  e mi “uscirono” Je roule e Centauri in un’ora in un bar in cui mi ero rifugiata per un caffè …, mi resi conto che l’arte creativa che tanto amavo e temevo di avere perso, ancora poteva essere mia compagna …. Je roule arrivò tra le finaliste al concorso Giacomo Leopardi. Il significato? Beh, io penso che sono le emozioni belle quelle che rendono un essere… “umano”. Senza emozioni come faremmo a vivere? La poesia è l’arte letteraria più piccola, più povera, ma più grande perché “è” l’emozione nel suo stato più essenziale. Bastano due versi per scatenare l’anima o il cuore.

Perché hai deciso di pubblicarle? Che cosa ti aspetti che il pubblico provi, leggendole?
Mi è arrivata per caso la possibilità, un po’ in contropiede, una sorpresa… Cosa mi aspetto? Beh, come dicevo prima, che possano dare piccoli “brillini”, piccole piccole emozioni mie da condividere con altri, ma poi non credo che chi scrive poesie, chi dipinge, o chi fa una qualsiasi arte abbia un’aspettativa, la fama, la ricchezza interessano solo quelli famosi. Voglio dire, certo, mi piacerebbe poterci guadagnare e non spendere, mi piacerebbe poter vendere i libri per avere dei soldi da investire in una nuova pubblicazione. Costa pubblicare i libri cartacei adesso, le poesie poi non vanno più, nelle librerie stanno in fondo, negli scaffali più nascosti. A chi interessa la poesia adesso? Ma non voglio smettere, non posso smettere di scriverle, smetterò piuttosto di pubblicarle.

Come scrivi nelle tue poesie, sei sirena e sei guerriera. Sirena, perché? Cosa rappresenta per te questa creatura fantastica? Guerriera, perché? Di quale arma vorresti poter disporre o ti piacerebbe maneggiare con più disinvoltura?
Guerriglia perché non sono guerriera, sono pacifista, ma combattiva e mi riprometto sempre di non abbattermi e di essere determinata nel perseguire il bene. Alla domanda posso rispondere con quello che scrissi quando presentai ufficialmente per la prima volta la raccolta di poesie :
«Se nella mia precedente raccolta di poesie (Je Roule, E.T.S., Pisa 2008) “ruotavo”, dopo tanta sofferenza provocatami dall’ignoranza delle persone riguardo la mia diversa abilità, dopo tanto sentirmi “mostro” e nascondermi all’altro, ecco che mi guardo allo specchio e mi sento Sirena. Riferendomi al mio vivere in carrozzella e ripiegandomi sulla mia condizione, adesso promuovo me stessa accettandomi con grande amore, con nuova forza e rinnovata autostima. Ho cambiato pelle, ora “guizzo”: ora sono una Sirena. Entità leggendaria, metà donna e metà fantastica frequentatrice delle più remote profondità del mare, la Sirena nuota e si muove in energica sintonia con il suo mondo; osserva, accucciata sulla roccia, le navi e i marinai e comprende che non potrà mai correre sulla terra ferma tra quei “piedi guerrigli”, né essi potranno mai nuotare negli abissi profondi degli oceani. “Tra voi e me c’è una distanza incolmabile”, sembra dire la Sirena, guardando lontano; la tristezza può impadronirsi di lei ma il tuffo guizzante la rinvigorisce, le rinnova le forze, la fa risentire combattiva, “guerriglia”. Lei, la Sirena, ed io, Lorella, crediamo fermamente nell’uguaglianza dei diritti e nella grande, magnifica ricchezza delle differenti abilità. L’unicità e l’irripetibilità di ciascuno di noi ci fa naturalmente guadagnare il diritto di essere parimenti accettati nella nostra normalità.»

Continua…

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