Il libro Adolescenti iperconnessi, a cura di Sergio Mauceri e Luca di Censi ed edito da Armando Editore, raccoglie e analizza i risultati di un’indagine sui rischi di dipendenza dei giovani da tecnologie e media digitali.
Il volume presenta una lettura dei dati raccolti durante un’indagine sociologica condotta su un campione di 3302 studenti tra la fine del 2018 e il 2019 in alcuni licei, istituti tecnici e professionali di Roma. La ricerca ha quindi il pregio di essere molto recente anche se territorialmente circoscritta.
Gli ambiti indagati della ricerca sulla technology e internet addiction sono stati principalmente quattro: la dipendenza da smartphone e la nomophobia, da social network, da videogiochi e da videostreaming.
Smartphone e nomophobia
Le problematiche legate all’uso dello smartphone sono di diversa natura e individuate attraverso alcuni neologismi:
- nomophobia, ovvero la paura di rimanere senza smartphone e di non poter connettersi a internet in qualsiasi momento;
- phubbing, cioè l’abitudine di isolarsi dalla compagnia degli altri;
- ringanxiety e vibranxiety, ovvero il disturbo di chi sente squilli, notifiche o vibrazioni inesistenti provenienti dal proprio smartphone.
Lo studio ha rivelato che il rischio di dipendenza da smartphone tra gli adolescenti inclusi nella ricerca è pari al 27% del campione e che c’è una differenza di genere: le femmine a rischio sono il 33,5%, mentre i maschi il 22,2%.
Dal punto di vista medico questo tipo di dipendenza comporta dei rischi quali tumori al cervello, disturbi nervosi, indebolimento del sistema immunitario, dolori al polso, al collo e alle articolazioni. Inoltre l’uso eccessivo dello smartphone durante le ore serali o notturne influisce sulla dipendenza poiché compromette il sonno e induce stress. Se un soggetto dipendente da smartphone viene privato del suo device, accusa ansia e mostra disturbi depressivi e rabbia: questo probabilmente perché l’uso del cellulare può influire sulla produzione di dopamina, il neurotrasmettitore responsabile del piacere.
Dipendenza da social network
Questo tipo di dipendenza rientra tra le malattie da comunicazione emotiva: sembra infatti manifestarsi in quegli adolescenti che vivono in condizioni familiari, scolastiche e socioterritoriali disagiate. Il social network diventa quindi lo spazio dove cercare conforto, accettazione, soddisfazione dei propri bisogni identitari e relazionali. I social media sono stati infatti anche definiti “supplenti di socializzazione”. Esistono tre tipi di uso relazione dei social network:
- lubrificante sociale, ovvero lo strumento virtuale per mantenere o rinforzare forme di relazioni sociali deboli;
- social grooming, ovvero l’uso dei social per fare pettegolezzi e gossip (esistente anche nella vita offline);
- social investigation, ovvero la tendenza ad effettuare ricerche online su profili specifici.
I social più frequentati dagli adolescenti sono nell’ordine: Whatsapp, Instagram e Youtube. Seguono poi molti altri ma percentualmente meno rappresentativi.
I social network vengono usati dagli adolescenti principalmente per contrastare la noia (27,7%) e per comunicare con le persone già affettivamente vicine a loro (27,6%). Le attività maggiormente scelte sui social, oltre a chattare con gli amici (88,4%) sono: guardare video in sequenza (58,1%), mettere like (54,4%), seguire personaggi famosi (45%) e condividere post (44,9%). Tra le attività meno utilizzate troviamo seguire challenge ovvero le sfide sui social (9,6%), conoscere altre persone (22,3%) e fare acquisti (26%).
Dipendenza da videogiochi
L’IGD (Internet Gaming Disorder) è considerato un disturbo simile al gioco d’azzardo patologico e presenta alcuni sintomi tipici quali, tra gli altri, l’astinenza, la necessità di aumentare il tempo di gioco, la perdita di interesse per altre attività, l’uso del gioco come via di fuga o per attenuare stati d’animo negativi.
Questo tipo di disturbo, non limitato al solo mondo degli adolescenti, è in continua crescita, tanto che è stato anche incluso nell’undicesima revisione della classificazione internazionale delle malattie dall’OMS (WHO, 2018). Tuttavia è in corso un dibattito internazionale sull’opportunità di questa scelta poiché molti studiosi sostengono che l’inserimento sia stato prematuro, basato su evidenze empiriche deboli e soprattutto legato a un pregiudizio culturale rispetto ai videogiochi. Inoltre i loro possibili effetti negativi, come la stimolazione di comportamenti violenti o forme di dipendenza, “sembrano riguardare un numero limitato di persone e non sono sostenuti unanimemente in letteratura”. La questione è quindi ancora aperta.
Nello specifico, la ricerca mostra una sensibile differenza di genere: i ragazzi giocano di più e preferiscono pc e console (72%), mentre le ragazze giocano di meno e privilegiano l’uso dello smartphone (60,7%). Inoltre è stata effettuata una divisione tra hardcore gamer e i casual gamer: i primi, cioè i più agguerriti, prediligono pc e console a cui affiancano anche app per smartphone ed effettuano lunghe sessioni di gioco: i secondi invece giocano soprattutto da mobile e hanno frequenze di gioco più basse e più brevi. Tra i due tipi di giocatori non si rivelano sensibili differenze in relazione al capitale culturale dei genitori, ma solo qualche lieve difformità rispetto al rendimento scolastico.
Dipendenza da videostreaming
Alla domanda posta dai ricercatori “Quando sei connesso, con quale frequenza svolgi le seguenti attività?”, la “fruizione di streaming” (49%) è risultata la risposta più scelta dagli adolescenti, superando addirittura la chat e i social network.
Le piattaforme di streaming più utilizzate sono: Youtube (77,5%), Netflix (66,1%) e altri siti internet (45.8%). L’attività di streaming, oltre ad essere quella maggiormente diffusa nel campione studiato, è quella che raccoglie anche la percentuale più alta di risposta sulla modalità “continuamente” da parte dei soggetti con un profilo a rischio di dipendenza da tecnologie digitali.
Gli effetti di questo tipo di dipendenza sono:
- perdita della cognizione del tempo, effetto causato dal cosiddetto binge watching, ovvero il guardare video uno dopo l’altro;
- senso di abbandono nel momento in cui l’attività si interrompe che coincide, ad esempio, con la fine di una serie televisiva;
- rinuncia ai bisogni fisiologici quali mangiare, bere e andare in bagno;
- visione solitaria con conseguente allontanamento dalla vita sociale.
Conclusioni
La ricerca oltre a presentare interessanti dati statistici propone anche diverse chiavi di lettura riguardo le cause e le conseguenze di questi disturbi sulla vita quotidiana e offre anche spunti di riflessione e di intervento sulla gestione di questo tipo di dipendenze e sugli interventi formativi volti a ridurne i rischi.
La lettura di questo libro sarà quindi sicuramente utile sia agli insegnanti che ai genitori per essere maggiormente consapevoli dell’uso che viene fatto degli strumenti tecnologici da parte degli adolescenti, per valutare con maggiore obiettività i rischi di dipendenza dei propri ragazzi, ma anche per abbattere alcuni preconcetti e pregiudizi sull’uso delle tecnologie che potrebbero portare a una visione esclusivamente negativa del fenomeno.
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