Il compito di accogliere il visitatore, all’ultima mostra di Giovanni Presutti alla Galleria Lato, spetta ad un’immagine rarefatta all’interno della quale si intuisce la sagoma di una figura immersa nella nebbia: la luce di una sigaretta accesa, un punto arancione al centro dell’immagine, cattura lo sguardo, lo concentra su di sé. Il fumo e la nebbia si impadroniscono del soggetto, lo avvolgono, lo cancellano: ciò che rimane è la dipendenza.
Dependency è il titolo della opere fotografiche, un work in progress sulle dipendenze, che Presutti mette letteralmente in scena sulle pareti della galleria. Le altre fotografie del progetto sono il contrario formale, ma non sostanziale, di quella che ci accoglie. La dipendenza si fa visibilissima, occupa l’intero spazio e se ne può intuire la grandezza che continua al di fuori dei limiti della carta fotografica. I vinili del collezionista continuano a sinistra e a destra dell’immagine prolungando idealmente il mobile che li contiene, dilagano anche verso il basso: il pavimento ne è cosparso. Il volto stesso del collezionista viene sostituito dalla copertina di In The Court of the Crimson King dei King Crimson: la faccia distorta dalla paura, la bocca aperta in una smorfia e un urlo forse soffocato, metafora terrorizzante della dipendenza che invade l’essere, lo ricopre fino a quasi farlo scomparire.
Il volto scompare da tutte le foto, come in un porno amatoriale, spesso coperto da una maschera o da una borsa o da una mano o dai capelli: l’individualità del soggetto non esiste più, ormai schiacciata dalla dipendenza. Il collezionista di libri è piegato sulla scrivania, quasi schiacciato dalla mole dei volumi che ricoprono interamente le pareti del suo studio. Il volto del dipendente tecnologico è diventato un’i-pad che mostra un cartone animato. In un’altra foto i libri sono sovrapposti come mattoni in modo da creare una parete dalla quale sporgono solo due mani, quelle di un prigioniero appoggiato alle sbarre della sua cella: il corpo è nascosto, inghiottito dalla carta. Nella foto della donna nella vasca da bagno con bottiglia di Campari il corpo si diluisce nel liquido rosso, un cocktail di alcool e sangue, in cui è immersa. In un’altra ancora il bambino nel suo seggiolotto si confonde tra i peluche, perde consistenza umana per diventare pupazzo tra i pupazzi: una Minnie, un Topolino, un drago e una televisione guardano verso l’obiettivo, sorridenti, felici, quasi vivi.
La ricerca della simmetria ricorre in molte immagini a sottolineare questa scissione patologica dell’essere in due parti distinte, uguali e contrarie. I due anziani coniugi seduti di spalle in salotto, muniti di cuffie, guardano ognuno la propria televisione. I due gatti-statua della dipendente da felini (diventata gatto anch’essa) segnano un confine, un limite, ognuno forse a guardia delle due porte che si trovano a destra e sinistra del soggetto.
L’occhio del fotografo riesce a stare sul filo, tra l’ironia e il drammatico. Presutti riesce in questo perché le immagini di Dependency sono estremamente studiate, costruite nei dettagli: a monte c’è l’idea, a valle la realizzazione, in mezzo l’arte. La fotografia di Presutti non è mai “occasione”, ma progetto. È Presutti che ordina il mondo, non il contrario.
La mostra resta aperta fino al 19 novembre 2011 presso la Galleria Lato, in Piazza San Marco 13 a Prato. La serie Dependency è visibile anche sul sito di Giovanni Presutti insieme ad altri suoi progetti e alla biografia.
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