Cosa vi ha portato Babbo Natale? Quello che gli avevate chiesto nella letterina o qualcosa di differente? Siete soddisfatti o state pensando di sabotargli la slitta? Per distrarvi allora da questi propositi vendicativi, ecco un racconto, tratto da Novelle fatte a macchina (Einaudi Editore, Torino 1973) di Gianni Rodari, che abbiamo dovuto necessariamente dividere in tre parti, data la sua lunghezza. Ogni parte contiene un esercizio: in questa dovete volgere la narrazione al passato, prestando attenzione ai modi e ai tempi dei verbi e a non cambiare niente delle conversazioni. Il primo verbo è già stato trasformato per aiutarvi un po’: questo è il nostro piccolo regalo di Natale per voi.
– Allora, – domandò il signor Fulvio alla signora Lisa, sua moglie e al signor Remo, suo cognato, – che cosa regaliamo a Enrica per Natale?
– Un bel tamburo, – risponde prontamente il cognato Remo.
– Cosa?!
– Ma sì, una bella grancassa. Con la mazza per picchiarci sopra. Bum! Bum!
– Dai, Remo! – dice la signora Lisa (per la quale però il signor Remo non è un cognato, ma un fratello). – Una grancassa tiene troppo posto. E poi, chi sa cosa direbbe la moglie del macellaio.
– Sono sicuro, – continua il signor Remo, – che a Enrica piacerebbe moltissimo un portacenere di ceramica colorata a forma di cavallo, con intorno tanti portacenerini piccini piccini, anche loro di ceramica colorata, ma a forma di caciocavallo.
– Enrica non fuma, – osserva severamente il signor Fulvio. – Ha appena sette anni.
– Un teschio d’argento, – propone allora il signor Remo, – un portalucertole d’ottone, un apritartarughe a forma di angioletto, uno spruzzatore di fagioli a forma d’ombrello.
– Dai, Remo, – dice la signora Lisa, – parliamo sul serio.
– Va bene. Sul serio. Due tamburi: uno in do e uno in sol.
– So io, – dice la signora Lisa, – quello che ci vuole per Enrica. Una bella bambola elettronica a transistor, con la lavatrice incorporata: una di quelle bambole che camminano, parlano, cantano, controllano le conversazioni telefoniche, captano le trasmissioni in stereofonia e fanno pipì.
– D’accordo, – proclama il signor Fulvio, nella sua qualità di capofamiglia.
– lo me ne infischio, – questo è il signor Remo, – e vado a letto a dormire tra due guanciali.
Ed ecco, dopo pochi giorni, il Santo Natale, con tanti bei prosciutti appesi fuori dei negozi e tanti magnifici portacenere a forma di Piccolo Scrivano Fiorentino nelle vetrine e tanti zampognari, veri e falsi, per le strade. Neve sull’arco alpino e nebbia in Val Padana.
La bambola nuova è già lì che aspetta Enrica sotto l’albero di Natale. Lo zio Remo (si tratta sempre dello stesso Remo, il quale per il signor Fulvio è un cognato, per la signora Lisa un fratello, per la portiera un ragioniere, per il giornalaio un cliente, per il vigile urbano un pedone e per Enrica, giustappunto, uno zio: quante mai cose può essere una sola persona!), dunque, lo zio Remo osserva la bambola con un sogghigno. Bisogna sapere, di nascosto da tutti, che egli compie severi studi di magia: può spaccare un portacenere di travertino con una semplice occhiata, tanto per fare un esempio. Egli tocca la bambola in due o tre punti, sposta qualche transistor, sogghigna di nuovo e infine se ne va al caffè, mentre arriva di corsa Enrica, lanciando grida di gioia, che i genitori ascoltano con delizia dietro la porta chiusa.
– Bella, bella, – dichiara Enrica, al colmo dell’entusiasmo. – Ti preparo subito la colazione.
Rovistando febbrilmente nell’angolo dei giocattoli, essa ne cava un ricco apparato di chicchere, piattini, bicchierini, vasetti, bottigliette, eccetera, che dispone sul tavolinetto delle bambole. Fa camminare la bambola nuova fino al suo posto, la fa chiamare «mamma» e «papà» due o tre volte, le allaccia il tovagliolo al collo e si prepara a imboccarla. Ma la bambola, appena lei si volta un momentino, spara un paio di calci che mandano all’aria tutto l’apparecchio. Piattini che vanno in pezzi. Chicchere che rotolano sul pavimento del condominio e vanno a sfracellarsi contro il termosifone. Cocci.
Naturalmente accorre la signora Lisa, pensando che Enrica si sia fatta male. Arriva, crede a quello che vede e senza perder tempo sgrida per bene la figlia, chiamandola «brutta cattiva» ed aggiungendo: – Ecco, proprio il giorno di Natale mi devi combinare disastri. Guarda che se non stai attenta ti porto via la bambola e non la vedi più.
Poi va in bagno.
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